La sclerosi multipla mi accompagna da una ventina di anni, ora ne ho settanta. La SM mi ha lasciata in pace fino ai cinquanta anni, anni vissuti intensamente, fortunatamente, libera e felice. Ho una figlia e un figlio. Ho lavorato in campo socio-educativo, artistico, grafico, nella ricerca artistica e nell’insegnamento.
Dividerei la mia vita con la malattia, in tre fasi:
- la prima: fase 1, diagnosi e il primo anno.
- la seconda: intermezzo, accettazione e ripresa di vita attiva.
- la terza: difficile, con progressivo peggioramento (quella attuale, la più invalidante e demotivante).
La prima fase
La diagnosi è arrivata, dopo troppo tempo e sofferenze, il 03.03.2003. I medici non mi credevano, i miei sintomi erano leggeri e poco dimostrabili, anzi si confondevano con quelli della menopausa. È stato un periodo molto brutto, anche per mio figlio adolescente, che mi vedeva sofferente e si sentiva incapace di aiutarmi. Mia figlia intanto iniziava a sentire tutti i miei sintomi, somatizzava. Mi ero fatta l’auto-diagnosi di SM, dopo 5,6,7 sintomi evidenti, ma il neurologo non arrivava mai alla diagnosi. Questo fu forse il periodo peggiore della malattia. Lavoravo allora in un laboratorio protetto dove avevamo diversi casi gravi di SM, quindi ero informata sulla patologia e questo non mi ha aiutato al momento della diagnosi; infatti conoscevo solo i casi gravi. Ero però anche competente sui sintomi della SM. Mi incuteva paura, anche una tristissima fotografia di mio zio in Clinica a Novaggio, deceduto nel ’52 giovanissimo di questa patologia (allora si conosceva poco la SM), o forse aveva avuto una patologia non ancora conosciuta. Un gruppo di parola organizzato dalla Socità SM, mi ha aiutata molto a «digerire» la diagnosi, così come l’amicizia di persone ammalate da tempo che gestivano bene la loro SM, frequentatori della Società. Quindi la diagnosi all’inizio l’ho accettata con sollievo, ma poi è subentrata la paura.
Devo dire che già da bambina ero molto indipendente, perché cresciuta così da sola. Ho perso presto la mamma, troppo presto; mi sono organizzata da sola, o con l’aiuto delle amiche.
Durante la prima fase della mia malattia, ho capito subito che la SM avrebbe potuto mettere a rischio la mia preziosissima autonomia e questa era la cosa che mi spaventava di più, conoscendomi.
La fase di mezzo, fase 2
La sclerosi multipla è la mia convivente poco gradita. Ha scelto lei di non lasciarmi più. Appiccicosa e furba, con il tempo può diventare veramente ostica. Avevo imparato a conoscerla, accettavo i suoi attacchi, le sue pause benefiche e le sue provocazioni. L’ho accettata e ci convivevo bene, ci accordavamo sempre ridendo di chi programmava di risolvere il problema della SM, dichiarandole guerra. Avevo capito una cosa importante: non pensare mai al futuro; questo lo devi veramente fare, altrimenti o ti assale l’ansia, o ti deprimi. In questo periodo abbiamo visitato quasi tutto il mondo. Mi ero adattata ai suoi capricci e nei trasferimenti, trasportavo sempre il mio fedele Interferone. Sembrava tutto più bello, dopo le paure dell’inizio, malgrado tutto, riuscivo ancora a fare quello che desideravo. Il tempo però passa, e, troppo presto, arriva la fase tre, la più brutta, la più difficile.
Qui e ora, fase tre
I peggioramenti si susseguono. Sto assistendo impotente alla perdita della mia proverbiale indipendenza. Non so più chi sono, ho una specie di disgiunzione tra l’allora (il passato) e adesso. Mi sembra di non essere stata io a fare tante belle cose, «prima»!
Devo fare molte rinunce, aumentano i desideri e rispettivamente la frustrazione. È un periodo molto difficile, devo abbandonare anche l’automobile, dopo 50 anni di guida felice, dopo sgradite pressioni ed effettive difficoltà. Presto mi organizzo con i trasporti, cambio completamente i miei programmi e supero anche questa crisi. L’isolamento è mitigato dall’informatica, ma reso ancora più difficile dalla pandemia. Inevitabile ora pensare al futuro… per quanto tempo potrò restare a casa mia da sola?
Da due anni vivo in un appartamento che ho adattato senza barriere architettoniche, ma basta un sintomo imprevisto e tutto cambia. Infatti, le mie gambe a volte non si piegano e uscire dal letto diventa sempre più difficile. Cerco di non pensare al futuro, alla fine ci riesco. Insomma, bisognerebbe pensare positivo, e agire pessimisticamente, cioè prepararsi al peggio. Dove andrò quando non ce la farò più? A Lugano non ci sono strutture per i casi gravi, una volta l’Otaf aveva un appartamento presso il Parco Maraini, ma ora non c’è più. Rimane la casa per anziani, unica alternativa…
C’è di bello che fin’ora sono sempre riuscita a cavarmela, a superare i momenti di ansia, e di scoraggiamento. Forse sarà la mia auto-ironia, forse il mio carattere, forse aveva ragione un vecchio amico che di me diceva che se all’incrocio ho di fronte due strade, scelgo sempre quella più in salita!
In fondo le sfide, più sono difficili e più mi intrigano.
Gilda Degiorgi
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