Costanza e passione per la ricerca sulla SM
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Prof. Engelhardt, innanzitutto congratulazioni per il premio per la ricerca della Società SM! Cosa significa per Lei questo riconoscimento?
Sono infinitamente felice di questo premio. È un grande onore che il mio lavoro di ricerca di molti anni abbia ricevuto un tale riconoscimento. Essere nominati per premi come questo, in particolare per un premio così speciale, significa che la propria attività di ricerca viene riconosciuta e rispettata e che il lavoro svolto è rilevante. E questa conferma oggettiva dall’esterno è un apprezzamento meraviglioso.
Quando ha scoperto la Sua passione per l’immunologia?
Su consiglio della mia insegnante di biologia ho deciso di intraprendere il corso di biologia umana, ai tempi appena istituito. Offriva una combinazione unica di conoscenze mediche e competenze di ricerca, compresa la possibilità di scegliere l’immunologia come materia principale. Il viaggio delle cellule immunitarie nel sistema circolatorio mi ha affascinato fin dall’inizio. Durante il tirocinio ho imparato a isolare queste cellule e ad attivarle in vitro. Questo mi ha così entusiasmato che ho scoperto l’immunologia e, in seguito, anche la neuroimmunologia.
Durante gli studi ho sentito parlare di un gruppo di ricerca della Società Max Planck focalizzato sulla sclerosi multipla. Avevo una conoscente colpita da SM. In un articolo veniva descritto un nuovo metodo di coltura dei linfociti T, cellule immunitarie specifiche che penetrano nel cervello e nel modello animale provocano una malattia simile alla SM. Da allora mi dedico principalmente alla migrazione di queste cellule immunitarie nel sistema nervoso centrale (SNC).
Può fornirci una sintesi dei punti focali della Sua ricerca?
La nostra ricerca nell’ambito della SM si concentra, tra le altre cose, sullo studio della barriera ematoencefalica e sui meccanismi con cui le cellule immunitarie, in particolare i linfociti T, raggiungono il sistema nervoso centrale. Attraverso modelli in vitro di barriere ematoencefaliche realizzati a partire da cellule staminali di persone con SM e, a confronto, di persone non colpite da SM, siamo riusciti a dimostrare che hanno una funzione di barriera inferiore. Ciò potrebbe indicare che fattori genetici o epigenetici (fattori genetici e ambientali) strettamente interconnessi siano la ragione di tale riduzione della funzione di barriera e che un malfunzionamento della barriera ematoencefalica potrebbe contribuire all’insorgenza o alla progressione della malattia.
Ci afidiamo inoltre alle moderne tecniche di imaging per esaminare in modo più approfondito diverse barriere presenti nel SNC e distinguere quando le cellule immunitarie migrano nel SNC per il monitoraggio immunitario e quando invece contribuiscono all’insorgenza di patologie come la SM. Ne fanno parte la barriera ematoencefalica nella parete vascolare, la barriera emato-liquorale nel plesso coroideo (determinati glomeruli nei ventricoli cerebrali) e le barriere delle meningi esterne. Mediante proteine fluorescenti possiamo tracciare la direzione di migrazione delle cellule immunitarie, il punto di penetrazione e le vie percorse. Il nostro obiettivo è comprendere meglio i complessi processi in presenza di SM e consentire così nuovi approcci terapeutici.
Quali traguardi del Suo lavoro di ricerca sono particolarmente importanti per Lei?
Una pietra miliare importante è il nostro contributo alla comprensione dei meccanismi cellulari e molecolari della migrazione dei linfociti T attraverso la barriera ematoencefalica. Abbiamo anche portato all’attenzione della comunità scientifica un’ulteriore importante molecola: «Duffy». Questa molecola è presente sui globuli rossi e si attiva nelle cellule endoteliali della barriera ematoencefalica delle persone con SM. Funziona come un «bus navetta», trasportando i segnali chimici (chemochine) prodotti dalle cellule cerebrali al lato ematico della barriera ematoencefalica. Qui questi segnali vengono rilevati dalle cellule immunitarie, che quindi si arrestano e iniziano la migrazione nel SNC. Questa mole-cola potrebbe rappresentare un obiettivo promettente per nuove terapie contro la SM.
Quali progressi della ricerca sulla SM sono promettenti secondo Lei?
La ricerca sul virus di Epstein-Barr (EBV) è particolarmente promettente. Studi recenti dimostrano che le persone con SM che hanno contratto un’infezione da EBV in età avanzata possono presentare decorsi diversi. Si ipotizza che alcune cellule sature del virus siano «dormienti» e che quindi il virus si «nasconda». Si tratta di meccanismi che devono essere ulteriormente approfonditi.
Un altro aspetto interessante è la predisposizione genetica e l’epigenetica. Grazie a tecnologie moderne, oggi siamo in grado di produrre in laboratorio cellule staminali di persone con SM a partire, ad esempio, da cellule ematiche. In questo modo gli organi possono essere successivamente riprodotti in parte in vitro. Non è ancora il «Santo Graal», ma stiamo facendo progressi. Approcci di questo tipo ci aiuteranno a studiare meccanismi patologici che finora non siamo riusciti a comprendere. Si tratta in particolare di meccanismi nell’organo target, ossia cervello e midollo spinale, ai quali non abbiamo accesso diretto nelle persone con SM. Ed è proprio in questo che vedo un grande potenziale per future scoperte.
Qual è la particolare sfida della ricerca sulla SM?
La SM è una malattia estremamente eterogenea, sia per l’aspetto clinico che forse anche per i meccanismi sottostanti. I progressi della ricerca hanno permesso di definire fattori di rischio genetici, ma non tutti coloro che ne sono portatori sono colpiti dalla SM. La ricerca sulla sclerosi multipla è spesso un processo lento e laborioso, che può richiedere mesi o anni semplicemente per scoprire che un’ipotesi non è valida, per poi improvvisamente acquisire una nuova conoscenza che consente di completare un altro pezzo del puzzle. La sensazione che si prova quando queste osservazioni improvvisamente acquistano un senso e vengono confermate dai risultati di laboratorio da colleghi e colleghe è incredibilmente motivante.
La ricerca è complessa e richiede costanza per raggiungere il traguardo, soprattutto in un contesto spesso caratterizzato da condizioni di finanziamento incerte. Ciononostante, ci motiva pensare che stiamo creando conoscenze importanti sul lungo periodo. Non si tratta solo di raggiungere l’obiettivo, ma anche della gioia e dello stimolo a percorrere questa strada nella convinzione di fornire un contributo reale che può migliorare la vita delle persone con SM.
Come utilizzerete il premio in denaro assegnato per la vostra ricerca?
Vorrei utilizzarne metà per studiare un potenziale «passaggio segreto» lungo il plesso coroideo fino alle meningi. Questo approccio, che stiamo studiando insieme ai neuropatologi, potrebbe rivelarsi presto rilevante dal punto di vista clinico in caso di conferma. Stiamo verificando questo fenomeno non solo in modelli animali con marcatori molecolari, ma anche in campioni di cervello donati da persone decedute.
L’altra metà la vorrei impiegare per studiare ulteriormente i modelli delle barriere ematoencefaliche umane derivate dalle cellule staminali. Come menzionato sopra, i nostri primi risultati suggeriscono che nelle persone con SM la barriera ematoencefalica presenta determinate alterazioni interne diverse da quelle delle persone non affette da SM.
Ricopre a titolo onorifico la carica di Copresidente del Consiglio medico-scientifico (CMS) della Società svizzera SM. Quale importanza attribuisce a questo organo indipendente?
Il CMS è un organo importante che riunisce competenze specialistiche in neurologia, ricerca, fisioterapia e altri ambiti e rappresenta il punto di vista delle persone con SM. Il Consiglio ci consente di proporre proattivamente temi importanti e di pubblicare pareri per le persone con SM. La varietà all’interno del board, composto da giovani e meno giovani di diverse discipline, promuove un’eccellente collaborazione all’interno dei gruppi di lavoro. Il CMS svolge un ruolo cardine e rafforza il lavoro della Società SM in modo duraturo.